Il caso Aytan e il caso Robert e
Gerard Finaly: analogie o casualità?
Il caso di Aytan, bambino israeliano che è rimasto orfano a causa dell'italica tragedia del Mottarone, che lo ha privato dei genitori, del fratellino e dei bisnonni, e il caso di Robert e Gerard Finaly, anch'essi ebrei e anch'essi rimasti orfani a causa dell'uccisione dei genitori da parte dei criminali Catto/nazisti, poi rapiti e sequestrati con la cooperazione di Papa Pio XII e del Cardinale Montini,
futuro Papa Paolo VI, inducono riflessioni sulle vittime storiche dell’ordinario razzismo antisemita della Chiesa
Cattolica.
È noto che la
Chiesa Cattolica è la PRIMA Associazione religiosa che ha
"inventato", nel 1555, i "ghetti" nei quali rinchiudere gli
"infedeli" ebrei, accusati di "Deicidio", cioè di aver ucciso un
personaggio (Gesù Nazireo) che i cattolici credono essere stato concepito,
circa 2000 anni fa, da una supposta Entità divina che si sarebbe accoppiata,
sotto le mentite spoglie di una "colomba", con una ragazzina minorenne,
sposata con un vecchio falegname. Peraltro tale "concepimento divino"
sarebbe avvenuto con lo scopo primario -da parte del Dio Babbo- di far
trucidare il suo figliolo, all'età di 33 anni, per "salvare" (non si
sa da cosa) l'intera umanità, eccettuati i nativi americani e quelli
australiani, della cui esistenza il buon dio non era ancora a conoscenza.
È altrettanto
noto che la Chiesa Cattolica ha sempre praticato il rapimento dei bambini ebrei
che fossero stati "battezzati", magari di nascosto e contro la volontà
dei genitori, da altri. Questa pratica criminale del
rapimento dei bambini ebrei si fondava sul "dogma" secondo cui la
formula magica "Ti battezzo in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Sangue", pronunciata all'indirizzo di un bambino ebreo, lo faceva diventare
immediatamente "cattolico" -e non più ebreo di religione ebraica-
sicché la Chiesa aveva il DOVERE di sottrarlo ai genitori INFEDELI ebrei, per
affidarli poi alla Casa dei Catecumeni, a Roma, per subire L'INDOTTRINAMENTO
COATTO di matrice cattolica.
Uno di questi
ultimi rapimenti ha riguardato Edgardo Mortara, rapito nella Bologna del 1858
su impulso del criminale Santo Inquisitore Padre Feletti e di quell’altro
criminale di Senigallia, Giovanni Maria Battista Pietro Pellegrino Isidoro
Mastai-Ferretti, divenuto Papa col nome d'arte "Papa Pio IX", cioè l’ultimo Papa/Re.
Ma i rapimenti dei
bambini ebrei da parte di Santa Madre Chiesa Cattolica sono proseguiti
imperterriti sino al 1955 e la recente "storia penosa" di Eitan
dovrebbe forse indurre a fare della riflessioni più approfondite, prima di
sputar sentenze, se non altro perché il codice civile italiano, per quanto
riguarda l'affidamento degli orfani, privilegia i nonni a discapito degli zii. L’art.
348 del codice civile dispone infatti che, in caso di perdita di entrambi i
genitori, “la scelta del
tutore avviene preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del
minore, i quali in quanto sia opportuno, devono essere sentiti. Il giudice, prima di procedere
alla nomina del tutore, dispone l'ascolto del minore che
abbia compiuto gli anni dodici e anche di età
inferiore ove capace di discernimento.”
Comunque giova oggi
rispolverare la storia del rapimento dei fratelli Finaly Robert e Gerard,
orfani ebrei che sono stati anch'essi ''rapiti", dal 1945 sino al 1955,
dal clero cattolico perché, , approfittando del fatto che i genitori ebrei
erano stati trucidati ad AUSCHWITZ dai catto/nazisti, li hanno COATTIVAMENTE
battezzati, pur sapendo che erano circoncisi e di religione ebraica, per “appropriarsene”,
indottrinarli, subendo poi un processo penale terminato con la condanna per
rapimento da parte della Giustizia Francese, e infine espatriandoli e sequestrandoli
nella Spagna catto/fascista del generale Franco per non restituirli ai parenti
ebrei.
Questo
criminale rapimento è avvenuto con la fattiva cooperazione di Papa Pio XII e
del Cardinale Giovanni Battista Enrico
Antonio Maria Montini, poi divenuto anch'egli Papa col nome d'arte Paolo
VI, il quale -è opportuno ricordarlo- è stato proclamato “santo” il 14 ottobre
2018 dall’attuale papa Francesco, forse per l'alto merito di essere l’autore primario
del criminale rapimento e sequestro di Robert e Gerard Finaly, i due fratellini ebrei,
rimasti orfani.
La verità che segue emerge dagli archivi del Vaticano,
ma è stata e viene sapientemente occultata dal silenzio di Mamma RAI e dei mass
media italioti. Per chi ne ha voglia, buona lettura.
La verità sul caso
di Robert e Gerard Finaly, i due fratellini ebrei contesi tra Vaticano e
Israele negli anni '50.
Questo racconto si basa su documenti
custoditi in Vaticano a cui si è avuto accesso (da parte di studiosi
selezionati) soltanto a partire dal marzo dello scorso anno.
L'accesso riguarda il periodo del
pontificato di Pio XII, dal 2 marzo 1939 fino alla sua morte il 9 ottobre 1958.
Ogni anno vi possono accedere solo
1200 studiosi da 60 Paesi.
Le informazioni sono state raccolte
da David Kertzer, vincitore del Premio Pulitzer per le Biografie nel 2015, il
quale le ha pubblicate a fine agosto in un articolo su The Atlantic.
Nel 1938, immediatamente dopo
l’Anschluss, il dottor in medicina Fritz Finaly e la moglie Anna,
entrambi ebrei, lui di 37 e lei di 28 anni, fuggirono dall’Austria cercando di
andare in Sud America. Non ci riuscirono e trovarono allora
rifugio in un paesino poco lontano da Grenoble, in Francia. Dopo la
creazione dello Stato fantoccio di Vichy fu impossibile continuare ad
esercitare ufficialmente come medico ma, se pur in modo fortunoso, la coppia
riuscì a sopravvivere. Nel 1941 Anna partorì il figlio
Robert e nel 1942 il secondogenito Gerald. Nonostante la campagna
antisemita instaurata dal governo del maresciallo Pétain su pressione dei
tedeschi, i genitori riuscirono a circoncidere entrambi i bambini
secondo i dettami della loro religione.
Purtroppo, la pressione
tedesca sul governo di Vichy contro gli ebrei andò aumentando e impauriti
dall’intensificarsi delle ispezioni della Gestapo, i due decisero, nel febbraio
1944, di mettere al sicuro i due bambini affidandoli ad una loro amica, tale
Marie Paupaert.
Temevano di essere arrestati e,
infatti, quattro giorni dopo i tedeschi li catturarono e li
deportarono ad Aushwitz dove morirono poche settimane più tardi.
L’amica francese, visto ciò che era successo
ai due amici, temette che i tedeschi potessero venire a cercare
i bambini e li portò al convento di Notre Dame de Sion a Grenoble, sperando che fosse un luogo più sicuro.
Tuttavia, le
suore, sentendosi incapaci di prendersi cura di due esseri così piccoli, li
consegnarono a loro volta ad una locale scuola materna diretta dalla Signora
Antoinette Brun, una donna di mezza età non sposata.
Quella appena descritta potrebbe
essere una delle innumerevoli storie di famiglie di ebrei in fuga dai nazisti e
ricorda anche quanto successe a quella eccezionale scrittrice ebrea che fu la
russa (rifugiatasi in Francia dopo la rivoluzione) Irene Nemirovsky.
Si tratta, invece, di una storia
speciale che suscitò scalpore nella Francia dei primi anni cinquanta e che ha
acquistato una nuova luce dopo che il 24 marzo 2019 è stato dato libero accesso
agli Archivi Segreti Vaticani (oggi denominati Archivio Apostolico Vaticano)
per i documenti riguardanti il periodo del papato di Pio XII.
Tutto cominciò quando, nel Febbraio 1945 e con la Francia già occupata dagli alleati, una
sorella di Fritz, Margherita Finaly (rifugiatasi in Nuova Zelanda
durante gli anni terribili), cercò di ottenere che i due
nipotini la potessero raggiungere nel suo nuovo Paese di residenza.
Margherita
scrisse alla Brun ringraziandola e chiedendo il suo aiuto per organizzare il
viaggio di Robert e di Gerald. La Brun rispose in maniera
evasiva all’ipotesi di lasciar partire i due bambini (allora di
quattro e tre anni) affermando anche di essere stata
nominata loro tutrice da un giudice locale. Margherita non si
dette per vinta e assieme alle altre due sorelle, una che viveva in Israele,
l’altra anch’essa in Nuova Zelanda e con la cognata Auguste (moglie del
fratello Richard catturato e ucciso dai nazisti a Vienna) scrisse al sindaco
del paesino. In assenza di alcun riscontro
positivo, Auguste che viveva in Gran Bretagna si recò a Grenoble per incontrare la Brun. Costei,
anziché collaborare si dimostrò ostile ed affermò definitivamente che non
avrebbe mai restituito i bambini.
A questo punto comincia il vero
dramma, la cui storia diventa più completa grazie alla lettura dei documenti
custoditi in Vaticano. Si scopre così che la Brun con l’accordo del vescovo
locale aveva battezzato i due bambini nonostante ne conoscesse l’ascendenza
ebraica e che, essendo essi diventati cattolici, erano “proprietà” della Chiesa
di Roma e mai più sarebbero stati “sottomessi” ad una famiglia ebrea.
I Finaly si
rivolsero allora ad un tribunale francese che nel Luglio 1952 ordinò alla Brun
di consegnare i bambini ai parenti dei genitori. Come tutta
risposta le locali suore del convento di Notre Dame de Sion li nascosero,
sembra su suggerimento dell’arcivescovo di Lione il Cardinale Gerlier.
Nel Novembre 1952 il tribunale francese emise un ordine
esecutivo ma le suore si rivolsero alla Corte d’Appello per chiedere
una nuova sentenza.
Nel frattempo, la
stampa francese aveva cominciato ad occuparsi del caso e il Cardinale Gerlier
chiese istruzioni al Vaticano. Il Sacro Uffizio (oggi
conosciuto come Congregazione per la Dottrina della Fede) suggerì, come
risposta, di attendere la sentenza della Corte d’Appello e comunque, in caso di decisione sfavorevole, di “suggerire alla signora
Brun di resistere, magari appellandosi alla Corte di Cassazione, e di usare
tutti i mezzi legali per ritardare il più a lungo possibile l’esecuzione di una
eventuale nuova sentenza sfavorevole.
Nell’attesa del nuovo giudizio, le suore decisero di spostare i bambini in una scuola cattolica vicino al
confine spagnolo e di registrarli colà sotto falso nome. Prima di farlo, chiesero e ottennero l’approvazione del
vescovo locale.
La giustizia
francese non fu inerte e il 29 gennaio 1953 la madre superiora del convento fu
arrestata. Con lei finirono in prigione alcuni monaci e suore considerati
complici. Il Sacro Uffizio informò per iscritto Papa Pio XII di
quanto stava accadendo, specificando che “gli ebrei, in combutta con i massoni
e i socialisti hanno organizzato una campagna di stampa internazionale” su
questo caso.
La cosa, oramai di dominio pubblico,
stava diventando imbarazzante per le gerarchie cattoliche e il Vaticano, con la mediazione dell’ambasciata francese a Roma e il
Nunzio a Parigi cercò quindi un accordo che prevedeva la consegna dei ragazzi
ai parenti purché ci fosse la garanzia che “si prendano le opportune
precauzioni per assicurare che loro (i ragazzi) non siano soggetti a diventare
ancora ebrei”.
L’allora Cardinal
Montini (poi Papa Paolo VI), incaricato dal Papa di seguire l’affaire, scrisse al Nunzio a Parigi un telegramma in codice:
“E’ bene che il
Sacro Uffizio non appaia (come ispiratore dell’accordo – n.d.r.)”. In altre
parole, il Vaticano appoggiò dapprima la sparizione dei ragazzi ma, in un
secondo momento, volle che tutta la questione apparisse soltanto come dovuta a
responsabilità locali.
Nonostante l’intesa apparentemente raggiunta e gli arresti e le sentenze dei
tribunali francesi, i due ragazzi furono inviati in un
convento di monaci in Spagna con l’ordine di essere tenuti nascosti.
Nel frattempo, col tentativo di recuperare il favore dell’opinione pubblica, il Cardinale Montini mandò al Nunzio Vaticano in Svizzera la bozza di
un articolo che avrebbe dovuti apparire su un giornale locale come firmato da
un qualunque redattore. Nel pezzo, ritrovato
tra i documenti vaticani, si sosteneva che i due ragazzi si
autoconsideravano dei “rifugiati” e invocavano il diritto d’asilo in Spagna.
Era l’aprile del 1953 e i ragazzi avevano oramai dodici e undici anni.
Passarono altri tre mesi senza nuove
notizie. Si sapeva che stavano in Spagna ma non esattamente dove.
Si mossero allora la diplomazia
francese, quella spagnola e quella israeliana. Alla fine, il clero spagnolo
affermò ufficialmente che “senza un ordine formale che arrivi
da Roma, i ragazzi rimarranno nella clandestinità”.
Interviene a questo punto
nientemeno che il Generale catto/fascista Franco, il Caudillo, che propone di
scambiare i bambini con quattro attivisti baschi, prigionieri in Francia.
La proposta, inaccettabile, viene seccamente rifiutata dalla Francia.
La pressione mediatica mondiale comunque stava
montando e, ad un certo punto, in Vaticano si cominciò a temere per la
ripercussione negativa sull’immagine del papato stesso. L’Osservatore
Romano pubblicò allora un articolo in cui si sosteneva che l’accordo raggiunto
dall’episcopato francese non avrebbe permesso alla famiglia Finaly di portare i
ragazzi in Israele per farli diventare ancora ebrei.
“I due ragazzi …
hanno dichiarato il loro desiderio di rimanere cattolici … di professare e
praticare il cattolicesimo”.
Le pressioni dell’opinione pubblica,
tuttavia, erano così così forti in Francia da obbligare il Vaticano a dare via
libera alla restituzione dei due ragazzi. Il 25 di Luglio i due atterravano
finalmente a Tel Aviv.
Ciononostante, il cardinale
Montini scrisse alla fine di settembre una lettera di protesta al governo
francese attraverso l’ambasciatore presso il Vaticano sottolineando che i due
ragazzi erano stati battezzati e che con il loro viaggio in Israele “la loro
educazione cattolica sarebbe stata compromessa”.
Gerard dopo essere diventato
ufficiale dell’esercito israeliano ha lavorato come ingegnere. Robert ha
esercitato da medico, esattamente come suo padre.
Concludo con TRE DOMANDE legittime, senza intenti polemici ma a mero scopo conoscitivo:
Concludo con TRE DOMANDE legittime, senza intenti
polemici ma a mero scopo conoscitivo:
1) PRIMA DOMANDA: Perché il magistrato italiano ha nominato tutrice
dell’orfano Aytan la zia Aya, in deroga all’art. 348 del codice civile che
privilegiava i nonni? In altre parole, quali sono i gravi “motivi” che hanno indotto il
magistrato italiano a nominare tutrice la zia, quando la legge gli imponeva di
privilegiare in prima battuta i nonni? I Nonni erano e sono
forse degli incapaci, degli anafettivi, dei soggetti che avrebbero pregiudicato
l’INTERESSE del minore ad essere allevato ed istruito in modo decente? E
ancora: se dei nonni, lettori di questo
post, dovessero perdere i propri figli, ma non il nipote, sarebbero CONTENTI
che il loro nipote venisse affidato ad una zia o ad uno zio, piuttosto che
prendersi direttamente cura del proprio nipote, ricevendolo nella loro casa?
E’ gradita una risposta.
2) SECONDA DOMANDA: Quale stravagante rilievo
giuridico può assumere, ai fini della nomina del tutore, la circostanza che Aitan risiedesse, al
momento della strage dei suoi genitori, del fratellino e dei bisnonni, in Italia, piuttosto che in Israele,
o che risiedesse invece in Israele,
piuttosto che in Italia? La legge impone infatti che sia
tutelato SOLO l’INTERESSE del minore, e a questo fine non assume alcun rilievo la circostanza della
residenza in un Paese piuttosto che in un altro, posto che nulla impediva ed impedisce che Aytan, dopo
aver subito questa ignobile strage da parte degli italiani, possa trasferirsi
in Israele, dove ha i parenti più prossimi. Si vuole forse “indottrinare” Aytan al cattolicesimo,
facendogli magari frequentare una scuola privata “cattolica”,
anziché una scuola pubblica laica? Una risposta è gradita, magari dalla Stampa.
3) TERZA DOMANDA: Quale fondamento ha l’INSINUAZIONE, diffusa dalla Stampa italiana, secondo cui i nonni materni aspirerebbero alla nomina di tutori solo per bieche finalità economiche, e cioè per “ereditare” il patrimonio del bisnonno Itshak, morto nell’incidente del Mottarone? Questa insinuazione velenosa, che si fonda sullo stereotipo razzista dell’ “ebreo avaro e taccagno”, non ha alcun fondamento giuridico, posto che l’eredità del bisnonno Itshak dovrebbe pervenire ai suoi figli, e cioè ai nonni viventi, e non al pronipote Aytan, salvo un testamento che disponga in modo diverso, ovviamente nel rispetto delle norme vigenti in Israele. Del tutto demenziale e velenosa è l’insinuazione che il bisnonno Itshak “potrebbe” (sic !!) aver nominato erede la madre di Aytan e che, essendo questa morta nella funivia del Mottarone, l’eredità perverrebbe al povero Aytan in seconda battuta: anche un imbecille a denominazione controllata dovrebbe infatti sapere che, ove si realizzi questa ipotesi, NESSUN TUTORE di Aytan -sia che si tratti della zia paterna Aya Biran, sia che si tratti dei nonni materni Shmuel Peleg ed Eshter Cohen- potrebbe MAI APPROPRIARSI dell’eredità di Aytan. Essere nominati “tutori” di un minorenne non significa, infatti, essere autorizzati a “saccheggiare” il patrimonio del soggetto incapace ma, al contrario, essere OBBLIGATI ad AMMINISTRARLO nell’esclusivo interesse del minore, rendendo poi il CONTO di questa gestione al Giudice Tutelare. Quindi l’ipotesi ventilata dal marito di Aya Biran, tale Or Niko -che è stata acriticamente recepita e diffusa dalla Stampa Italiiota- secondo cui “è lecito ipotizzare il movente economico nel rapimento di Eitan, potendo questi risultare secondo in linea di successione”, nient’altro è se non una BESTIALITA’ GIURIDICA che può essere diffusa solo da soggetti che intendono perseguire scopi diffamatori.
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