Pubblico con piacere il seguente articolo di Massimo Maiurana, tratto dal sito dell'UAAR, non solo perché lo condivido, ma anche perché lo merita. Buona lettura.
Il mito del decadimento dell’umanità
a causa di se stessa ricorre in diverse religioni. Per gli antichi greci tutto
ebbe inizio nel momento in cui Pandora aprì il vaso in cui erano stati
rinchiusi i mali del mondo, nonostante Zeus le avesse raccomandato di non
farlo. Per la Bibbia ebraica, alla base anche di cristianesimo e islam, fu
sempre per disobbedienza che Eva raccolse e mangiò il frutto proibito
dell’albero della conoscenza del bene e del male. L’uomo causa del suo mal,
quindi, l’uomo che sfida puerilmente la divinità e che per questo viene punito,
privato dell’immortalità e vittima perenne delle conseguenze della sua azione.
Anzi, per quanto riguarda il genere non l’uomo ma in realtà la donna, e qui ci
sarebbe ulteriormente da ridire ma è un altro discorso.
Se l’umanità è stata dannata per
essersi allontanata dalla divinità, ne consegue che l’unica possibilità di
salvezza è la redenzione, l’obbedienza cieca al dettato divino, con l’estrema
punizione come inevitabile alternativa. Non a caso la Bibbia è piena di
annientamenti di massa, dal Diluvio universale a Sodoma e Gomorra, passando per
le piaghe d’Egitto e altri orrori vari. Sempre non a caso, la storia è zeppa di
stermini e crimini giustificati attraverso la religione, dai nativi americani
alle comunità valdesi. Fino ai giorni nostri. Fino a Parigi.
È la religione il suo ingrediente principale, lo dimostrano gli obiettivi
individuati negli attacchi
Il terrorismo islamista è un
fenomeno troppo complesso, vasto e organizzato per essere ridotto
semplicisticamente a puro fondamentalismo religioso, ma non si può negare che
sia prevalentemente basato su quello. È la religione il suo ingrediente
principale, lo dimostrano gli obiettivi individuati negli attacchi alla
capitale francese. È stata colpita l’irriverenza blasfema di Charlie
Hebdo a gennaio, sono stati colpiti luoghi percepiti come simbolo di
empietà a novembre, come spiegato nel comunicato di rivendicazione dell’Isis.
Certo: è anche stata colpita una nazione militarmente impegnata laddove l’Isis
agisce, ma il fatto che essi stessi usino principalmente la religione per
giustificare gli attacchi non può e non deve passare in secondo piano.
Per il sociologo Khosrokhavar l’identikit del
jihadista è in prima istanza quello di un giovane che impara a odiare la
società perché escluso da essa, costretto a vivere ai margini. Va bene, l’ambiente
delle banlieue è intriso di islam e di disagio sociale, ma bisognerebbe allora
spiegare perché le altre periferie del mondo producano in genere borseggiatori
e spacciatori, non certo aspiranti kamikaze. E bisognerebbe anche spiegare come
mai tra gli islamisti arrestati a Merano ci fossero
un sussidiato dal Comune con 2.000 euro al mese e un altro a cui era stato
assegnato un appartamento perché, a suo dire, perseguitato in Iraq. È evidente
che i conti non tornano. Nemmeno quando Khosrokhavar dice che in seconda
istanza ci sono quei giovani non emarginati che lui definisce come
“romanticisti naif”, presumibilmente anche annoiati, che vanno a combattere in
Siria ma tra cui non sarebbero emerse figure di rilievo.
I conti tornano invece tragicamente
quando si cerca di capire qual è il sentire comune dei musulmani. Secondo
una ricerca del Pew Research Center c’è
sì, nei Paesi islamici, una maggioranza di musulmani con un’opinione negativa
nei confronti dell’Isis, ma ci sono anche una fetta preoccupante di favorevoli
e una consistente di dubbiosi. E poiché non si tratta di un sondaggio sulle
preferenze alimentari, percentuali medie del 10% di sostenitori del terrorismo
sono a dir poco drammatiche. Specialmente quando si parla di un Paese come la
Turchia, membro della Nato e aspirante membro dell’Ue, in cui ogni 12 persone
ce ne sono una che si dice a favore dell’Isis e due che preferiscono non
esprimersi. Se poi guardiamo dentro casa nostra, sembra che le cose vadano
addirittura peggio che in Turchia; secondo un’indagine di Ipr, presentato alla trasmissione
televisiva Porta a porta, addirittura il 12% dei musulmani in
Italia giustificherebbe in qualche modo la strage di Parigi.
Seguano ulteriori passi, nel senso di una graduale secolarizzazione
dell’identità islamica
In questo contesto ben venga la
campagna “Not in my name”, che ha portato musulmani di tutto il mondo a
condannare apertamente l’Isis prima attraverso i social network, fotografandosi
con cartelli recanti lo slogan della campagna, e poi in piazza, a Roma e Milano, per dirlo
tutti insieme con parole forti e chiare. Finalmente! Da tempo veniva chiesta da
più parti ai musulmani moderati una condanna senza riserve della strategia del
terrore e del fondamentalismo, e dopo una lunga striscia di sangue siamo giunti
al primo passo, sebbene con un livello di partecipazione tutt’altro che
entusiasmante. Non possiamo che sperare che adesso seguano ulteriori
passi, nel senso di una graduale secolarizzazione dell’identità islamica.
Da questo punto di vista noi
occidentali abbiamo il dovere di porre le basi perché questo processo possa
iniziare e poi proseguire nella giusta direzione, il che vuol dire fare
esattamente il contrario di ciò che finora è stato fatto. O meglio, il
contrario di quello che alcuni hanno fatto e continuano purtroppo a fare,
opponendo l’identità cristiana al fondamentalismo islamico e contribuendo
quindi ad alimentare il conflitto interreligioso. Ha forse senso proporre
l’esposizione del crocifisso in tutte le scuole, come hanno fatto Ilaria Giorgetti, in veste di presidente del
quartiere Santo Stefano di Bologna, e il consigliere regionale
dell’Umbria Marco Vinicio Guasticchi? O invitare le scuole
ad allestire tutte il presepe, come ha fatto il quotidiano La Nazione? In altre
parole, qualcuno veramente pensa che il rimedio al terrorismo passa per
l’ostentazione di un “orgoglio cristiano”?
“Orgoglio laico”, di una società basata non su un clericalismo diverso ma
sull’assenza di clericalismi
Chiaramente la risposta è no. La
ricetta migliore contro il terrorismo religioso non può che essere la
rivendicazione di un“orgoglio laico”, di una società basata non su un
clericalismo diverso ma sull’assenza di clericalismi. Che ovviamente non
equivale all’assenza di religioni. Non si tratta di de-cristianizzare i
cristiani o di de-islamizzare i musulmani, si tratta di avere come obiettivo
una laicizzazione di tutti intesa come rispetto verso qualunque cultura e fede,
intesa come primato della libertà, intesa come baluardo contro ogni
clericalismo, Isis compreso. Del resto è proprio questo che gli islamisti non
accettano: la libertà occidentale, che per loro assume la forma dell’empietà.
Non l’accettano per la stessa ragione di fondo per cui anche il cristianesimo,
come le altre religioni, lo ha fatto storicamente. Perché una società laica è
libera, e una società libera non è per definizione controllabile. Loro, i
clericalismi, invece vogliono assolutamente controllarla, e quindi cercano di
codificarne ogni comportamento attraverso l’imposizione di morali e dottrine
pretese universali.
Ecco perché armarsi di crocifissi
non è solo sbagliato ma anche deleterio. Perché la prospettiva che si offre è
solo un mondo con una diversa cultura dominante sulle altre, quando invece
dovrebbe essere un mondo in cui tutte le culture sono libere e nessuna è
egemone. Se si riuscirà a far capire questo ai musulmani che hanno sfilato con
i cartelli anti Isis, magari loro stessi potrebbero farsi promotori di un islam
più rispettoso dei diritti dell’uomo. E tutti potremmo solo beneficiarne.
Massimo Maiurana