L’Italia perde ben quattro posizioni nell’annuale classifica di
“Reporters sans frontières” (Rsf) sulla “libertà di stampa”. Nell’indagine
condotta dalla Ong francese il nostro paese sprofonda al 77° posto, parecchio
dietro alcune discutibili autarchie, alcuni paesi africani tra i più poveri e
divisi del mondo e qualche nazione balcanica dal pluralismo piuttosto
difettoso. Due le
principali motivazioni di questo triste primato: le minacce e le
violenze contro i cronisti che con il loro lavoro denunciano le mafie, il
malaffare e la corruzione dilagante nel nostro paese; le ingerenze e i processi
inquisitori alla “libertà di stampa” del Vaticano a conduzione bergogliana
(Vatileaks 2).
L’art. 7 della nostra Costituzione, quello dello “Stato e
Chiesa indipendenti e sovrani ciascuno nel proprio ordine”, dev’essere stato
interpretato da Rsf come una boutade dal momento che nella classifica i due
paesi non sono affatto indipendenti e in sostanzal’Italia perde posizioni a
causa delle ingerenze di un altro paese, e quindi della sua non sovranità. Non
ci è dato sapere, poi, se nelle motivazioni circa la nostra posizione in
classifica Rsf abbia tenuto conto anche della pessima qualità del pluralismo
informativo in riferimento all’ambito religioso, e quindi in rapporto all’overload
mediatico della Chiesa cattolica e del suo più alto rappresentante.
Tant’è.
Meglio lasciare ai nostri aficionados qualsiasi speculazione
sulle prime e ultime 20 posizioni della classifica, confidando nella loro
intuizione per ciò che concerne il nesso tra il livello di laicità dei paesi
più virtuosi e il loro relativo ranking in fatto di “libertà di stampa”. Sta di
fatto che ancora una volta si evince come il livello del giornalismo italiano
veleggi serenamente nelle comode acque dell’autocensura sistematica per non tediare
troppo il leader di turno, sia esso politico governativo o religioso. Se questa
non fosse già di per sé una notizia abbastanza deprimente possiamo sempre
metterla in relazione allo stato di diritto in cui versa il nostro paese, sui
temi di interesse e le campagne che porta avanti la nostra associazione da
tempi non sospetti.
Per esempio a distanza di dieci anni dalla battaglia per
l’eutanasia legale di Piergiorgio Welby e a ben 17 anni dalla vicenda Englaro,
con i testi di legge finalmente approdati nelle commissioni di competenza, la
stampa sembra avere chiuso i rubinetti dell’informazione. Vero che si
parlerebbe di un argomento cheportò
già alle dimissioni di un autorevole giornalista, colpevole di rivolta
verso la linea editoriale imposta dalla sua emittente televisiva, ma suvvia; un
po’ più di quella intraprendenza
dimostrata da pochicoraggiosi, e di fiuto in considerazione dei reiterati
inviti a legiferare (2006 e 2014)
da parte delle più alte cariche dello Stato, nei confronti di un dibattito e di
una corretta informazione pubblica non guasterebbe. Quantomeno per scrollarsi
di dosso il sospetto di essere completamente asserviti
ai desiderata della CEI (si legge ingerenze).
A proposito di Stato, nessun organo di informazione o
quasisembra voglia spendere le sue due righe sulla surreale situazione
dell’8×1000. Dopo che non
uno ma ben
due richiami da parte della Corte dei Conti parlano in modo manifesto
di un meccanismo truffa, siamo arrivati alla fine di quel aprile mese di tasse
senza che nessuno rispolverasse la questione. Abbiamo già evidenziato la
sberla europea all’Italia sull’applicazione della 194/78, ma a
eccezione del fisiologico scambio di vedute a mezzo stampa tra il ministro
Lorenzin e la CGIL promotrice del ricorso, sembra proprio che da una
prospettiva giornalistica la questione sia chiusa. A nostro avviso fin troppo
frettolosamente per non destare sospetti.
Sulle unioni civili gli organi di informazione, specie
quelli che si auspica non siano di parte, hanno viziato ed esasperato il
dibattito con punti di vista ideologici quando non del tutto clericali. Mettere
nello stesso calderone di argomenti l’adozione del figlio da parte del partner
(stepchild adoption) e la “Gestazione per Altri”, al fine di ottenere uno
schiacciamento dell’opinione pubblica e quindi il condizionamento in senso
restrittivo del testo di legge, è sicuramente un esercizio che poteva riuscire
solo ad un “quarto potere” al servizio di ben altri poteri. Bizzarro che dopo
tanta foga di vendere copie a scapito dei diritti civili, nessuno abbia invece
parlato dei 900 emendamenti allo stesso testo di legge sulle Unioni Civili tutti
respinti.
Per questi e altri motivi, Rsf ravvisa una perdita di
“libertà di stampa” causato da ingerenze del Vaticano. Uno squilibrio che era
stato ben evidenziato anche
da altri lo scorso anno. Quindi si stupiscano ben poco gli italiani,
se viviamo in un paese dove di fatto il dibattito pubblico viene indirizzato,
quando non addirittura negato, in base alle esigenze politiche o religiose dei
palazzi. Una stampa che senza un’inversione di tendenza è presumibilmente
destinata a perdere ancora posizioni su posizioni. Dal 49° posto del 2010 al
77° posto del 2016 ci incamminiamo verso una graduatoria da regime teocratico,
illiberale, autoritario. Nessun organo di informazione del bel paese sembra
oggi voler ringraziare Bergoglio per l’incisivo contributo della “sua” Chiesa
al “nostro” pessimo piazzamento. Chiedersene le ragioni è retorica, quindi la
nostra speranza è che alla luce di tutto questo almeno gli italiani non
continuino a chiedersene il motivo.
Paul Manoni
Fonte:
http://www.uaar.it/news/2016/04/27/due-stati-una-sola-posizione-classifica/#comment-765885
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