Mi preme divulgare le mie prime riflessioni giuridiche in merito alla disposizione, contenuta nell’attuale progetto di legge sul testamento biologico, che vieta -nonostante la contraria volontà espressa dall’interessato- il distacco di sondini di alimentazione e di idratazione.
Tale norma si profila, a mio avviso (ma non solo a mio avviso), palesemente incostituzionale, al punto tale da legittimare qualsiasi medico a non ottemperarvi per legittimo esercizio del diritto di libertà di coscienza.
La norma in questione, infatti, viola sia il diritto primario di rifiutare, per motivi non sindacabili, le cure che non si desidera ricevere, sia l’opposto diritto di ricorrere alle cure mediche per tutelare la propria salute.
E’ infatti evidente che chi, ad esempio, vuole sottoporsi ad un intervento chirurgico per sanare un’infermità -ma non intende però accettare il rischio di trovarsi in stato vegetativo permanente- in caso di approvazione di questa norma si troverà nella condizione:
1°) o di dover rifiutare l’intervento, per non correre il rischio di trovarsi in stato vegetativo permanente;
2°) o di dover rifiutare l’intervento, perché il protocollo prevede l’applicazione provvisoria di sondini di alimentazione o idratazione che, però, non potrebbero più essere rimossi in caso di riduzione in stato vegetativo permanente;
3°) o, infine, di imporre preventivamente ai medici l’obbligo di non applicargli sondini di alimentazione ed idratazione nel decorso operatorio e post-operatorio, correndo però in questo caso il rischio altissimo di morire o di riportare danni alla salute nell’ipotesi in cui l’applicazione dei sondini di alimentazione e di idratazione si profili come l’unico rimedio praticabile per superare momenti critici.
Orbene, dal momento che il “divieto di distacco dei sondini di alimentazione e di idratazione” -che i parlamentari “illuminati” dal Vaticano ci vogliono imporre- non appare minimamente giustificato da finalità di salute (come potrebbe esserlo, ad esempio, il divieto di trasfusione di sangue infettato da virus HIV), bensì solo e soltanto da superstizioni indotte dal credo di una particolare specie di “teopitechi” (vedi P.G. Odifreddi), appare ben chiaro che la norma che si vuole approvare finisce per fare, letteralmente, “carne di porco” dell’art. 32 della Costituzione, sicché qualsiasi medico potrebbe rifiutarsi, per “diritto di libertà di coscienza”, di obbedire ad una norma che lede in modo immediato ed irreversibile il diritto inviolabile alla salute dei pazienti.
Propongo allora di programmare -per il caso che la legge venga approvata nel testo proposto dai catto-teopitechi italici- l’attivazione di una VALANGA di ricorsi, anche d’urgenza, all’autorità giudiziaria: e questo sia su iniziativa di tutti i parlamentari dissenzienti che su impulso di tutte le decine di milioni di italiani che non accetteranno che il loro diritto primario di salute debba subire limitazioni incostituzionali indotte da superstiziose credenze di una specie di teopitechi che, credendosi gli unici depositari dei “veri” valori, funestano l’Italia con le loro presunzioni di superiorità.
D’altro canto, se i catto-teopitechi non accetterebbero mai una legge imposta dai jahvè-teopitechi, che ad esempio impedisca loro di usufruire delle trasfusioni di sangue, non si vede perché tutti gli antropitechi -cioè quelli che non hanno rinunciato a far uso delle capacità cognitive e critiche- nonché tutti i teopitechi di specie diversa da quella cattolica debbano essere costretti a subire limitazioni di diritti che non sono affatto previste e/o giustificate dalla Costituzione e che, al contrario, poggiano soltanto su una credenza di stampo religioso: cioè quella che “la vita è dono di un non meglio identificato UFO, chiamato dio, e che, dunque, a nessuno è dato disporne rifiutando l’acqua e il cibo”.
A prescindere dalla circostanza che a nessuno può essere imposta -nemmeno ad opera di una “maggioranza”- la credenza che esista un UFO chiamato dio, il principio giuridico che realmente è scritto nella nostra Costituzione è quello diametralmente opposto, e cioè che chiunque è libero di non mangiare e non bere -magari suicidandosi per inedia- e che a nessuno, in questo caso, è dato il diritto di scongiurarne la morte con alimentazioni e idratazioni forzate.
Pertanto, il principio del buon samaritano invocato dai cattolici -secondo cui a nessuno si può rifiutare acqua e cibo- si profila di una capziosità evidente: non ci si trova qui, infatti, di fronte ad un obbligo di solidarietà -cioè al cospetto di soggetti che “chiedono acqua e cibo” perché hanno sete e fame- bensì di fronte a soggetti che, al contrario, rifiutano l’acqua ed il cibo perché non intendono protrarre la vita in un stato vegetativo che risulta, per un loro insindacabile giudizio, innaturale e intollerabile.
E allora appare ben chiaro che l’imposizione coatta dell’alimentazione e dell’idratazione si profilerebbe come un atto invasivo e intrusivo che prevarica e che viola in modo illegittimo i diritti di libertà di cura e di salute e, quindi, la dignità di qualsiasi persona.
Luigi Tosti
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