venerdì 7 agosto 2009

Laicità della scuola pubblica: la croce della religione cattolica

Laicità della scuola pubblica: la croce della religione cattolica
Estate. Interrotta l’attività didattica, è tempo di bilanci sulle lotte per la laicità della scuola pubblica in Italia. A questo proposito, per lanciare un ponte verso il prossimo anno scolastico e le iniziative di analisi e di lotta, è importante premettere che il CESP- centro studi per la scuola pubblica sta organizzando a Roma il 6 novembre ’09 presso il Centro Congressi Cavour, via Cavour n. 50, il convegno nazionale “Laicità della scuola pubblica: la croce della religione cattolica”, cui parteciperà tra gli altri anche Adele Orioli, responsabile delle iniziative giuridiche dell’UAAR con la relazione “Uscire dal gregge”.L’anno scolastico appena terminato ha visto almeno un paio di casi di docenti, entrambi dei Cobas - che ne stanno garantendo la tutela legale - incorsi in pesanti provvedimenti disciplinari per aver osato rivendicare e praticare spazi di laicità nella scuola pubblica. Ci riferiamo al caso del docente Alberto Marani del Liceo Righi di Cesena che è stato sospeso due mesi dall’insegnamento e dallo stipendio per aver somministrato ai suoi studenti un questionario i cui risultati hanno portato ad una delibera del collegio docenti e alla modifica del POF del liceo per la costruzione di un serio programma alternativo all’insegnamento della religione cattolica; oppure alla sospensione di un mese dall’insegnamento e dallo stipendio del professor Franco Coppoli all’IPSS Casagrande di Terni per aver reso inclusiva, laica e neutrale l’aula scolastica togliendo il crocefisso nelle sue ore di lezione. In entrambi sembra di assistere ad una pervicace difesa dei privilegi della chiesa cattolica che risalgono al periodo fascista ma che sono rimasti inalterati, anzi a volte sono addirittura aumentati, nel periodo repubblicano, con un appesantimento negli ultimi 10-15 anni. E’ una questione generale che riguarda gli indirizzi educativi, le spese ed i finanziamenti e soprattutto gli spazi e gli ambiti della libertà di coscienza e di insegnamento.Gli argomenti da affrontare sul tema sono tanti ed articolati, intrecciati tra di loro, e vanno dall’enorme potere economico, all’ingerenza politica e simbolica che la chiesa cattolica esercita nel nostro paese, all’anomala distribuzione dell’8 per mille, ai privilegi degli insegnanti precari di religione cattolica rispetto agli altri docenti, all’assenza di fatto dell’ora alternativa alla religione cattolica nelle nostre scuole con conseguente persecuzione di chi tenta di organizzarla negli istituti scolastici o attiva una battaglia per la laicità delle aule delle nostre scuole.Cerchiamo di approfondire qualche tema in attesa del convegno del 6 novembre cui si invitano a partecipare tutti gli interessati consultando il sito del CESP o anche quello dei Cobas della scuola ricordando che è una giornata di aggiornamento per tutti i docenti.Partiamo subito dall’aspetto economico che è sicuramente importantissimo. A questo riguardo si consiglia la lettura di un testo non facilmente reperibile (chissà perché) del giornalista Curzio Maltese, La Questua, quanto costa la chiesa agli italiani, Feltrinelli 2008. I dati che emergono, anche se non aggiornati al 2009 mostrano la scala di grandezza e di importanza del fenomeno e rendono chiaro che la casta ecclesistica costa più di quella rappresentata dai parlamentari (basti pensare allo scandalo suscitato dall’omonimo libro di Stella e Rizzo), ed in valori assoluti è seconda in Italia solo al padronato ed alla pratica liberista di socializzare le perdite e privatizzare gli utili attraverso il finanziamento pubblico di imprese e banche.Cerchiamo di sintetizzare i dati: la chiesa cattolica costa ogni anno almeno una cifra che va, a seconda delle stime, da un minimo di 4 miliardi e mezzo di euro ad un massimo di 9 miliardi, tra finanziamenti diretti e mancato gettito fiscale. La prima voce è quella dell’8 per mille: un miliardo di euro (con una leggera flessione di circa il 4% quest’anno che ha dato luogo ad una martellante e melensa campagna pubblicitaria per battere cassa). Oltre il 60% della quota (parliamo di 600 milioni di euro) viene assegnata sulla base dei resti dei fondi di coloro che non hanno scelto la chiesa cattolica. Basta osservare che le altre principali religioni in Italia, quella musulmana e quella buddista, non accedono a questi fondi e che lo Stato non fa assolutamente nessuna pubblicità per i versamenti, che peraltro ha usato per finanziare la guerra in Iraq e la stessa chiesa cattolica. Ma andiamo avanti… Gli stipendi dei 22.000 insegnanti di religione cattolica -assunti nella scuola pubblica solamente con il placet delle curie (alla faccia dei pubblici concorsi!) - costano allo Stato ogni anno circa 950 milioni di euro. Non si capisce perché questo relitto del Concordato del ’29 tra fascismo e Vaticano, riconfermato nell’84 da Craxi-Casaroli, non venga abolito, o almeno perché non sia il Vaticano a pagare direttamente chi fa catechismo nelle scuole pubbliche. Vengono inoltre erogati ogni anno alle strutture cattoliche 700 milioni di euro per convenzioni tra Stato ed Enti Locali su sanità e scuola. A questo proposito si comprende meglio perché, come da anni cercano di affermare anche i Cobas della scuola, gli asili e le scuole materne non siano appannaggio diretto di Stato e Comuni, in quanto la fetta da distribuire alle curie è ben ricca e consistente. Questi ultimi dati sono certamente per difetto anche perché sappiamo che l’unica voce della scuola che da anni continua ad aumentare, sia durante i governi di centrodestra che in quelli di centrosinistra, è il finanziamento delle scuole private, alla faccia dell’articolo 33 della Costituzione che afferma che esse devono essere “senza oneri per lo stato”. Per esempio il decreto interministeriale 28/05/09 fissa la quota dei contributi statali a 120.000.000 di euro per tutte le scuole “paritarie” cioè le private -confessionali, confindustriali o semplici esamifici - nonostante i pesanti tagli alla scuola pubblica. Nel 2004 lo stato aveva elargito 258 milioni di finanziamento alle scuole cattoliche, 44 milioni alle 5 università cattoliche, più 20 milioni per il campus biomedico dell’Opus Dei (diventati 30 nel 2005). Nel 2005 l’ammontare dei contributi è stato di 527 milioni. Nel 2006 - anno di ulteriori pesanti tagli alla scuola pubblica - 532,3 milioni di Euro. Nella sanità le convenzioni pubbliche con gli ospedali cattolici sono circa un miliardo di euro, quelli agli istituti di ricerca 420 milioni di euro, con le case di cura 250 milioni. I grandi eventi cattolici costano in media 250 milioni di euro all’anno. Se si sommano questi dati si raggiunge l’enorme cifra di 2 miliardi e 900 milioni all’anno, cui vanno aggiunti i vantaggi fiscali (5-700 milioni per il regalo dell’ICI, 500 milioni per lo sconto del 50% su IRES, IRAP ed altre imposte), oltre i 600 milioni di elusione fiscale legalizzata nel turismo cattolico che gestisce da e per l’Italia un flusso annuale di oltre 40 milioni di visitatori e pellegrini. Queste sono cifre in difetto che il matematico Piergiorgio Odifreddi nel libro Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici) raddoppia arrivando a 9 miliardi di euro all’anno, stimando le esenzioni fiscali in oltre 6 miliardi di euro. In breve, riprendendo Curzio Maltese, “la Chiesa cattolica non eletta dal popolo italiano e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani più del sistema politico”Alla luce di questi dati risulta ora più chiara la pervicace resistenza per mantenere tutti i numerosi privilegi, sia simbolici che materiali, accumulati negli anni e difesi con le unghie dal Vaticano e ribaditi con esemplari provvedimenti disciplinari del MIUR. Né questo riguarda solo la scuola. Il giudice Luigi Tosti ha avuto riconosciute le sue ragioni contro l’esposizione del crocefisso nei Tribunali ma è stato sospeso dal servizio e sono passati molti anni per vedersi riconosciute le ragioni dalla sentenza n. 298 del 17 febbraio ’09 della sesta sezione penale della Corte di Cassazione. Basti ricordare la fascistissima circolare 2134/1867 del 29/05/1926 del famigerato Alfredo Rocco, Ministro della Giustizia e degli Affari di Culto che - chiudendo la fase laica dell’unità d’Italia apertasi il 20 settembre 1870 con la breccia di Porta Pia, la fine del potere temporale del Vaticano e Roma capitale - esprimeva bene quel nuovo clima d’intesa tra fascisti e Pio XI, attraverso il concetto di restituzione del crocefisso in una norma che, sola, legittimerebbe ancora oggi la presenza del crocefisso nei tribunali: “prescrivo che nelle aule di udienza, sopra il banco dei giudici e accanto all’effige di Sua Maestà il re sia restituito il Crocefisso, secondo la nostra antica tradizione.” Lo stesso clima che troviamo nel Regio Decreto il 965 del 30/04/1924 (art.118) e nel R.D 1297 del 26/04/1928 (art. 119, tabella C), che imposero la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche, ma la cui attuale inconsistenza e pesante matrice storico-politica clericofascista è mirabilmente affrontata dal Giudice Montanaro nella ordinanza del Tribunale dell’Aquila del 23 ottobre 2003 rg 1383/2003.Concludiamo analizzando i privilegi che riguardano gli insegnanti di religione cattolica seguendo l’interessante inchiesta di Massimiliano Bardani pubblicata sul n. 9/ giugno 2009 della rivista “Civiltà laica” ricordando che non parliamo della Francia prerivoluzionaria del XVIII secolo - dove non esistevano le classi sociali ma gli stati, non esistevano i diritti ma i privilegi e chi apparteneva al primo e secondo stato, al clero o alla nobiltà, aveva esenzioni fiscali e un differente sistema penale - ma si tratta dell’Italia del XXI secolo dove il primo stato continua ad avere inaccettabili privilegi. Iniziamo subito con l’indecente legge 186 del 2003, che ha permesso l’immissione in ruolo di oltre 15.000 docenti di religione cattolica dopo un concorso farsa, attraverso un meccanismo che riteniamo incostituzionale: l’assunzione nello Stato passa attraverso un concorso burletta ma solamente dopo aver ottenuto il bollino blu (o porpora?) della curia, alla faccia dell’uguaglianza tra cittadini o lavoratori. Un regalo alla chiesa cattolica che neanche 45 anni di potere democristiano aveva avuto l’indecenza di realizzare e che costa un miliardo di euro ogni anno. Ancora ci chiediamo perché non sia il Vaticano a pagare i suoi catechisti, protagonisti di un insegnamento non obbligatorio, nella scuola pubblica. Tra l’altro una volta assunti sono irremovibili e nel caso perdessero il bollino curiale sarebbero spostati in altre cattedre compatibili con gli studi, prefigurando, come anni fa denunciammo come precari Cobas, un canale confessionale di definizione della categoria docente. Passiamo ad altro, al vil denaro che sempre al centro è della questione. Qualsiasi precario anche dopo quindici anni di insegnamento percepisce ancora lo stipendio base e non ha diritto alla ricostruzione di carriera con un’unica eccezione: che non sia unto dal vescovo e faccia catechismo a scuola. In questo caso l’articolo 54, comma 4 della legge 312/80 permette il miracolo: dopo 4 anni di servizio prestato come incaricato comincia ad essere conteggiata l’anzianità di servizio con conseguenti scatti stipendiali, cioè il precario di religione cattolica gode dello stesso trattamento di un docente di ruolo. Sia chiaro, non è questo lo scandalo, ma lo è il fatto che solo il precario vescovile sia equiparato al docente assunto a tempo indeterminato. Cerchiamo di fare ulteriore chiarezza. L’articolo 53, comma 3 della legge 312/80 riconoscerebbe a tutti i precari, che abbiano avuto un incarico “escluse le supplenze” il diritto a scatti biennali del 2,5% dello stipendio base. Era un riconoscimento dell’anzianità di servizio meno rilevante del comma 4 (che riguarda gli IRC) ma comunque significativo. Il ministero dell’istruzione per pagare solo gli IRC e non gli altri precari da un’interpretazione letterale della norma e attraverso l’articolo 15 della legge 270/82 ha trasformato (magia della semantica) in supplenze annuali gli incarichi annuali ai precari che da allora sono stati esclusi dagli aumenti stipendiali. Ancora una volta il primo stato si è salvato nel passaggio da incarico a supplenza: la circolare 71 del 1987 interpreta l’articolo 2.5 dell’intesa sull’insegnamento della religione cattolica, recepita dal DPR 721/85, nel senso che gli insegnanti di religione cattolica ricevano un incarico annuale cosicché… non sono supplenti. Misteri della transustanziazione verrebbe da dire! C’è stata quest’anno una importante novità sul tema: l’11 marzo 2009 il tribunale di Tivoli ha riconosciuto ad una docente precaria il diritto ai benefici economici di cui all’art. 53 comma 3 della legge 312/80, ricordandosi che esiste una Costituzione che si applica a tutti e non ai soli docenti marchiati e benedetti dalle curie e dal MIUR. La sentenza è stata promossa dagli anticlericali ed è consultabile nel sito anticlericale.net o in quello dell’avvocato Claudio Zaza che ha seguito la vicendaAgli inizi di novembre discuteremo anche di questo, non dimenticando che ciò avviene in un contesto di tagli pesantissimi al personale scolastico: solo nel prossimo as 2009/10 verranno eliminati dalla scuola pubblica 42.104 precari docenti (31.485 nell’organico di fatto, 245 nelle autonomie, 5.616 nella II lingua comunitaria e 5.003 nell’organico di diritto) e 15.167 ATA per una strage totale di posti di lavoro di almeno 57.271 precari senza che una sola ora dei docenti di religione cattolica sia stata toccata.
Franco Coppoli

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